Indice:
1) Comunicato Stampa redatto
da Elisabetta Bovo in
occasione della mostra "Adoratori di
infinito" presso lo spazio Kn Studio, Verona, 2011
2) Comunicato Stampa redatto
da Leonardo Conti in
occasione della mostra
"L'infinita modificazione dell'identico" presso la galleria Poliart, Milano, 2011
3) Articolo di Marcello Palminteri presente nella rivista AreAArte nr 12 Inverno / Winter 2012/2013 ,pag.12-15
4) Testo del catalogo della mostra "The Emerging" presso la galleria E3 Artecontemporanea redatto
da Ilaria Bignotti, Brescia, 2014
5)
Articolo di Gianpietro Guiotto presente nel quotidiano "Brescia Oggi"
in occasione della mostra presso E3
Artecontemporanea, Brescia, 2014
6) Testo del catalogo della mostra "L'infinita modificazione dell'identico II" presso la galleria
Poliart Contemporary, Milano, 2014, redatto
da Leonardo Conti
Index of text in English:
7) "Creative
repetition", by
Marcello Palminteri
8) "The emerging", by Ilaria Bignotti
9) "The infinite modification of the identical", by Leonardo Conti
1) Comunicato Stampa redatto
da Elisabetta Bovo in
occasione della mostra
presso Kn Studio
"Adoratori di
infinito"
Kn STUDIO, Verona
03/12/2010
– 30/01/2011
testo a cura di
Elisabetta Bovo
Il sublime è qui.
Traduce
nella malleabilità
sostenuta del feltro e
nell’apparente
cedevolezza della cera i
suoi sogni sublimi,
Matteo Gironi, li
articola in ondulazioni e
movimenti che rispondono
ad un’interiore
partitura musicale, li
modula morbidamente in
curve e pieghe, li
drappeggia in
introflessioni ed
estroflessioni che nulla
tolgono allo slancio
verticale sempre presente
nelle sue opere.
Chimere
barocche, segnate da una
contraddizione di
borrominiana ascendenza,
le sue “sculture
morbide” eppure
ardite, nelle fessure del
feltro tagliato ed
assemblato ad arte e
nella cera candida o
imbevuta di nero pigmento
che le riveste, possono
rivelare la luce o la
tenebra, il baluginare
del mistero o il suo
ritrarsi
nell’oscurità
impenetrabile.
Tra
le pieghe della materia,
pervasa
dall’inquietudine di
un instabile equilibrio,
emerge tutta la tensione
e l’aspirazione
all’infinito che
conferisce
un’impronta di
sacralità a tutte le
opere di
quest’artista. Se la
piega ha da sempre
caratterizzato l'arte e
una caratteristica del
Barocco è replicarla
all'infinito, Matteo
Gironi, anima
d’artista modulata
da studi
d’architettura,
esprime le sue
“intenzioni
barocche” attraverso
la replicazione di moduli
che, assemblati, creano
una texture atta ad
innumerevoli possibilità
di torsione,
avvolgimento, piegatura,
increspamento e
sinuosità. Come nel
barocco, lo
scultore-architetto nelle
sue opere curva e ricurva
le pieghe nel feltro, le
porta all'infinito, piega
su piega, piega nella
piega, ricoprendole poi
con la cera. Così alle
sue installazioni, per
certi versi assimilabili
ad altari barocchi, si
può applicare tout-court
la lettura deleuziana:
“In basso, la
materia è ammassata in
un primo genere di
pieghe, ed è poi
organizzata in un secondo
genere di pieghe (...).
In alto, invece, l'anima
canta la gloria di Dio,
percorrendo le sue stesse
pieghe, senza mai
giungere a svilupparle
interamente, poiché esse
vanno all'infinito”.
In esse si rivela
heideggerianamente quella
lotta originaria in cui
viene conquistata
quell’Apertura in
cui sta dentro ogni cosa
e da cui emerge,
ritirandovisi, ciò che
si manifesta come
presenza inafferrabile.
Ogni
opera di Matteo Gironi,
più che un ergon, è
un’energheia:
attività, forma in
divenire, dinamica, mai
statica o cristallizzata.
E, paradossalmente la
fessura - in queste
sculture che nelle lande
del postmoderno parlano
un linguaggio nuovo e
significante –
risulta come il vuoto che
tiene assieme il tutto,
il taglio che lascia
emergere la luce, che
unisce e nel contempo
tiene a distanza, che
esprime un
“congiungere
illuminante”,
l’intimità di un
convenire tra finito ed
infinito, l’incontro
tra il limite e
l’illimitato. Il
sublime è qui.
- - -
2) Comunicato Stampa redatto
da Leonardo Conti in
occasione della mostra
presso Poliart
"L'infinita modificazione dell'identico"
Poliart Contemporary, Milano
22 ottobre / 3 dicembre 2011
a cura di Leonardo Conti
con la musica di Paola Samoggia
Candidi corpi, emersi e immersi in un misterioso moto di luce ondosa:
così appaiono le venti opere di Matteo Gironi, in occasione
della sua prima personale milanese alla PoliArt Contemporary.
La soffice e muta resistenza del feltro, la diafana e immota
mobilità della cera e l’infinita modificazione
dell’identico, sono i cardini intorno ai quali si svolge
l’alchemica ricerca dell’artista veronese. È nel
ripetersi modulare di una piccola forma piegata di feltro, quasi
lasciata accadere per interna necessità, che le opere vengono
componendosi in contrappunti e fughe visive, come nell’innalzarsi
di una musica bachiana.
Gli stessi titoli delle opere, “Emersione”,
“Inclusione”, “Introflessione”, alludono a quei
processi di plasticità e spazializzazione, che affrancano
l’opera dalla bidimensionalità, in un continuo emergere e
immergersi della forma sino a una sorta di smaterializzazione
emozionata.
Nel suo tentativo di “eliminazione di ogni rapporto con la
gestualità, per fare in modo che l’opera sembri esistere
per sua necessità” anche l’artista pare entrare
nella modularità in trasformazione, in una continuo lavoro del
piegare ed assemblare piccoli riquadri di feltro, forse con la stessa
devozione che una madre dedica alla sfoglia quotidiana, nella
più necessaria e caduca delle arti.
È proprio nel processo del piegare su di sé il feltro
(“quasi da sé”) e nel ripiegarlo ancora indefinite
volte, sino a una specie di smarrimento e spiritualizzazione del gesto,
che è stata invocata, forse giustamente, una dimensione barocca,
nella sua aspirazione alla trascendenza nella sovrabbondanza.
Tuttavia, nella ricerca di Matteo Gironi si manifesta una tensione
verso l’essenzialità e la chiarezza dell’operazione
compositiva, nella quale sono i rapporti con la luce e lo spazio ad
acquisire un’importanza fondamentale. Se il trattamento con la
cera alimenta e diffonde la plasticità delle opere, nel perenne
esterno riverberante che è la luce, sono i rapporti dinamici
delle forme di feltro ad innalzare le opere in una dimensione musicale.
3) Articolo presente nella rivista AreAArte nr 12 Inverno / Winter 2012/2013 ,pag.12-15
"La ripetizione creativa"
di Marcello Palminteri
Una
spazialità tattile ancor prima che visiva, come si conviene a
certe superfici appena increspate, in cui l’occhio chiede
certezze alla mano per appropriarsi dell’immagine, caratterizza
il lavoro di Matteo Gironi (Verona, 1973). Sia che si sviluppi in forma
più propriamente scultorea, nella tridimensionalità del
tuttotondo, sia che si comprima all’interno di più modesti
perimetri, volge sempre verso una monocromia orientata ora al bianco,
ora al nero, accentuando, attraverso la luce, le potenzialità
dei due colori-non colori. Il bianco è il colore della
luminosità, ma senza tinta e, contenendo tutti i colori si
annulla nell’acromia, il nero è (percettivamente)
l’assenza di colore: tutto e assenza di tutto affiorano
nell’opera del giovane artista veronese per frammenti, per
emersioni, per vuoti, concentrandosi in strutture reticolari o nodose
apparentemente minimali eppure assolutamente barocche nella loro
nascosta complessità, nel loro continuo sfociare e ricomporsi,
nel dilagante ordito compositivo.
E’
lo stesso Matteo Gironi a scrivere: “non so se il barocco sia per
me il punto di partenza o il punto di arrivo, fatto sta che rileggendo
il libro Il Barocco in Italia di Dino Formaggio edito da
Arnoldo
Mondadori nel 1960, mi sembra di leggere il manifesto programmatico
della mia arte, con l’eccezione che la ricerca di una
rappresentazione dell’infinito ha per me coinciso con
l’elaborazione di un linguaggio basato sulla
“necessità”; necessità che ho trovato nelle
caratteristiche dei materiali che uso. Ma la condizione di
necessità mi serve solo ad esprimere quell’emozione per me
non ben definibile ma molto simile a ciò che esprime
l’arte barocca. Direi che il barocco ha già definito il
significato della vita “moderna” come lo è tuttora:
l’uomo ha perso un suo centro reale (se non sé stesso) e
già comprende di essere parte di un tutto che non riesce a
comprendere (cioè né a capire né ad esplorare fino
in fondo). La mia arte potrebbe essere definita come una parte di un
infinito, un frammento nello scorrere (o nel precipitare) delle cose.
L’importante per me è evocare questa emozione al di
là del linguaggio usato, anche se ritengo che
le
forme che creo devono essere vibranti, fisiche, attraenti, forse
perché proprio in questo precipizio solo alle forme reali e
carnali ci si può aggrappare; le forme perciò sono un
veicolo, non sono il fine”. Assistiamo ad un processo in cui il
dato manuale pur rimanendo legato all’interno dei
“limiti” di un linguaggio ampiamente assorbito dalle
ricerche dell’arte moderna e contemporanea, tende a spostarsi in
luoghi personali di espressione, creando spazi inesplorati come fossero
prospettive possibili, architetture interiori da contrapporre ad una
realtà in cui l’abbondanza di strutture è - spesso
- sinonimo di caos. Egli attira, cattura ed integra componenti che
deformando lo spazio lo rivelano nel collasso dello stesso, così
evidenziando il trionfo dell’idea, la forza dell’arte sulla
razionalità della composizione. Decisamente belli, gli oggetti
di Matteo Gironi, nell’ambiguità del loro predominio
fisico - accentuata dalle scelte monocromatiche - esaltano la loro
potenza estetica; una potenza che è anche attrattiva: è
difficile resistere alla tentazione di toccarle queste superfici, per
percepirne la morbidezza e seguire un percorso fatto di assenze e
rilievi, di pieni e di vuoti, di rigonfiamenti, di chiara ascendenza
spazialista, come può dimostrare l’occhio strizzato
all’opera di un Agostino Bonalumi, di un Turi Simeti e,
soprattutto, di un Enrico Castellani. Tuttavia Matteo Gironi procede
per delicatezze cromatiche (dettate anche dai materiali utilizzati come
il feltro e la cera) estranee agli artisti citati, in quanto il suo
lavoro evita decisioni nette, aprendosi invece alle molteplici
implicazioni emotive, capaci di suggerire arcobaleni immaginifici sia
pure nella specificità della cromia tenue che lo caratterizza.
Possiamo
allora affermare che il processo creativo obbedisce da un lato
all’arguzia tecnica, dall’altro alla qualità del
sentimento e il risultato, oscillando tra intrusione e integrazione,
genera uno spazio che determina, al di là di ogni fredda
progettualità, risultati inaspettati che sono poi la cifra
stilistica, l’essenza e la vita stessa dell’opera. Per
questo, al contrario di tanta produzione astratta o concreta, ogni
nuova opera, ogni nuovo ciclo, è il territorio su cui
l’artista sperimenta la propria capacità tecnica per
volgere le regole a proprio vantaggio: lavorando con abilità e
immaginazione per provocare nuove sfide, nuovi confronti, affrontando
il limite per superarlo. E regola non significa imitazione ma fertile
ripetizione creativa.
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4) Testo del catalogo della mostra "The Emerging" presso la galleria E3 Artecontemporanea redatto
da Ilaria Bignotti
"The emerging"
E3 Artecontemporanea, Brescia
4 ottobre / 6 dicembre 2014
a cura di Ilaria Bignotti
Il primo impatto è visivo.
Forme sinuose che si estendono e indietreggiano sulla superficie dello
sguardo, le opere di Matteo Gironi accolgono la materia del feltro,
della cera d’api, il pigmento di colore in un abbraccio
sorprendente di epidermidi tese, vellutate, malleabili, pronte ad
accogliere l’imprevedibile accadere della vita che le trasforma,
segnandole in modo lieve o deciso.
Opere come metafore del quotidiano mutamento, eppure cariche di un
sapere secolare, nella loro decisa appartenenza al contemporaneo:
scrigni preziosi sui quali l’artista inscrive la conoscenza della
tradizione nell’innovazione. Come un tempo le tavole di cera
accoglievano l’esperienza della vita dell’uomo, i lavori di
Gironi hanno la quieta e imprevedibile sapienza degli antiqui, pur
rivolgendosi a noi moderni. O meglio, postmoderni.
La natura, la storia. Il problema della forma e l’identità
del materiale. La necessità delle cose. La libertà di
pensiero, dichiarata, sempre, attraverso il fare.
Sono questi i punti
di partenza e di eterno ritorno sui quali si svolge la trama della
ricerca artistica di Gironi, la cui formazione in ambito
architettonico, alla quale si accompagna da sempre l’interrogarsi
sul senso del costruire e del progettare, incide con una certa
profondità sulla sua indagine artistica.
E in effetti, a ben guardarle, le sue opere sono architetture
consapevoli della storia dell’arte, e opere d’arte
consapevoli della storia dell’architettura.
Evidente è il
legame con le poetiche dello Spazialismo, avviate dal rivoluzionario
indagare oltre la bidimensionalità della tela da parte di Lucio
Fontana, proseguite dall’inquieta eredità dei Bonalumi,
Castellani, Scheggi, tra estroflessioni e introflessioni della materia
pittorica, fino alle estensioni nell’ambiente.
Meno esplicito,
protetto dallo stesso artista come segreto intimo della sua poetica
nelle trame cangianti delle opere, è invece il profondo pensiero
che lo ha portato, negli anni, a scegliere di indagare il materiale, di
interrogarlo nella sua naturale necessità, per poi traformarlo e
formarlo in opere di altissima fattura estetica.
In questo procedere, riecheggiano i modelli architettonici, quello di
Frank Lloyd Wright e di Louis Kahn: il primo, in dialogo con il Grande
Spirito della Natura, attento a cercare la profonda identità
nelle cose; il secondo, capace di interrogare i mattoni, e di ascoltare
il loro voler essere archi.
Matteo Gironi interroga il feltro, interroga la cera, interroga il
pigmento di colore. Si fa da questi interrogare. Li lavora con una
manualità di ispirazione femminile, rifiutando
l’imposizione perentoria, metaforicamente maschile, sulla
materia. Piuttosto, ne asseconda e ne stimola le reazioni,
intrecciandole e sovrapponendole con la pazienza dell’ignoto.
Moduli di straordinaria musicalità, le sue opere accolgono
così la variazione nella ripetizione di un frammento originario
e originante, ottenuto con la peculiare curvatura del feltro, materiale
che naturalmente si offre a questa ricerca. Dalle prime, dove i moduli
presentano dimensioni maggiori, trame meno fitte, ombre e
concavità più accentuate, alle più recenti, dove
l’affinamento della tecnica si traduce in superfici di raffinata
modularità, le sue opere sono monumentali e ampie vallate, dove
segni nel paesaggio si ergono o nascondono, indicando la strada allo
sguardo.
É la monumentalità del frammento, dalla prima pietra
posata dall’uomo, il menhir come elemento
“ordinatore” dello spazio, ad interessare l’artista
che tale funzione consegna ai moduli delle sue opere, chiamati a
misurare lo spazio delle introflessioni. E la stessa cosa accade nei
soffitti barocchi, in cui sono i personaggi a misurare lo spazio:
così afferma Gironi, rievocando un’altra infinita rete di
riferimenti che si avviluppano e svolgono, mutevoli come le sue opere,
dall’oggi sino al Barocco, un altro terreno importante della sua
indagine.
Il Barocco ovvero la tensione allo spazio nella sua
distorsione, il brivido dell’ordine franto, la vita con tutte le
sue imprevedibili asprezze e inaspettate dolcezze che entra e determina
sinuosa le forme: così, i grandi moduli delle prime opere di
Gironi si pongono al nostro sguardo con violenta fisicità, totem
di un fatto che si piega dall’origine alla fine delle cose; le
opere più recenti, dove il modulo si rimpicciolisce e
moltiplica, ci raccontano di piccoli eventi, non ineluttabili ma
possibili.
Eventi ai quali l’artista non dà nome, titolando invece le
opere con termini che rimandano alle forme assunte dai materiali,
secondo natura: Emersioni, Introflessioni, Buchi, o ancora più
semplicemente Forme.
Corpi che ci guardano e ci chiamano a prendere una
posizione: non solo davanti a essi, ma a noi stessi.
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5) Articolo presente nel quotidiano "Brescia Oggi" in occasione della mostra presso E3 Artecontemporanea, 2014
L'intrigante esperienza del vuoto
Giampietro Guiotto
Morbidi feltri, coperti da una coltre monocroma di cera nera o bianca,
si muovono nelle pareti, come membrane pulsanti; eppure, nello spazio,
essi sono immobili, tesi: catastrofi della vista, predisposte
dall'artista Matteo Gironi, il quale realizza strutture plastiche
tridimensionali, apparentemente sospese nel vuoto, attraversate da
continui cedimenti e scivolature di senso, superfici-testo che, come
increspature del nulla, chiedono di essere lette nelle loro emergenze e
rientranze di spazio concreto e indefinito, vuoto e pieno, mobile e
fisso. Lo sguardo le traduce come tessuti-testo, come scritture
criptiche, percorse dalla luce, che sprofonda dolcemente sulla tenue
cromia della pallida cera.
Nella loro spazialità tattile e visiva, gli oggetti di Gironi
sorgono e si offrono nella loro nudità iconico-simbolica per
trascinarci nell'infinito della visione. Un infinito comincia a
visualizzarsi fin dai margini del quadro-scultura, per estendersi
silenziosamente quando sulla superficie, trasformata in luogo di
tensioni e di protuberanze aggettanti e ripetitive, pullulano e vibrano
segni che creano l'illusione del movimento e della metamorfosi della
forma. Si delineano spazi visivi sezionati attraverso la
razionalizzazione degli elementi tridimensionali e strutturali della
materia, scomposti e riaggregati attraverso infinite modulazioni
luministiche e spaziali, dialoganti con l'ambiente, che si configurano
come progetto, nel quale si concretizzano l'esperienza del vuoto e la
percezione di infinito, la presa di coscienza della perdita del
sé e la sospensione dell'essere nella realtà.
- - -
6) Testo del catalogo della mostra "L'infinita modificazione dell'identico II" presso la galleria
Poliart Contemporary redatto
da Leonardo Conti
"L'infinita modificazione dell'identico II"
Poliart Contemporary, Milano
30 ottobre / 13 dicembre 2014
a cura di Leonardo Conti
con la musica di Paola Samoggia
Le
opere di Matteo Gironi sono corpi spirituali. Il senso di attesa, che
la loro rigorosa monocromaticità suscita, indica il tempo
necessario per un nostro apprendistato contemplativo. È bene
assestarsi nella propria penombra. Come quando, a poco a poco, scaliamo
con lo sguardo l’innalzarsi affrescato di una grande volta
barocca. Il bianco ritmo architettonico di colonne e paraste
inaspettatamente si fonde alla vertigine cromatica e prospettica della
pittura, svelando grandiosi cieli empirei sopra alla nostra quotidiana
caducità. Ed è proprio nell’esibizione spesso
pletorica dei propri mezzi che gli spettacolari e illusori impianti
scenografici dell’architettura e della pittura barocche giungono
a cogliere la più pura e astratta emozione. Cade ogni confine,
tra realtà e illusione, tra corpo e spirito, tra storia e
rivelazione. Si entra nella chiesa barocca per fare esperienza della
trascendenza e dell’eternità. Ora, quell’imprevisto
e rischioso ossimoro che connette materialità e
spiritualità è anche il compito che si propongono le
ricerche di Matteo Gironi. Già con gli occhi e la mente
folgorati dai miracoli visivi barocchi, l’artista veronese ha
percorso l’intricato dipanarsi dell’arte contemporanea fino
ai silenzi del minimalismo. Ed è nel concetto minimalista di
forma primaria che Gironi identifica il punto di vista da cui
ricominciare a vedere.
Con
quel nuovo sguardo anche ciò che era del passato torna a essere
nel divenire del presente. In quest’ottica anche una colonna
greca non è soltanto la parte rimasta di ciò che il tempo
ha consunto, ma diviene una misura, un indice, attraverso il quale il
paesaggio diviene profondo, prospettico, potentemente umano e naturale
insieme. Quel pilastro conserva una quantità sufficiente di
energia per segnare il ritmo che disegna un territorio.
È
proprio attraverso questo sguardo che Matteo Gironi ha cominciato a
sperimentare i materiali più diversi, per trovare un proprio
elemento ritmico e costruire un territorio. Si sa, lo sperimentatore
è fuori da ogni tempio sia religioso che accademico, reclama
pluralismi, promuove strani incontri, ama le cattedrali e i deserti. In
Gironi molti aspetti eterogenei funzionano insieme: è un
architetto
di
formazione, ha propensioni oggettuali, è riservato e minimalista
e, soprattutto, è un nuovo purissimo artista barocco. Queste
caratteristiche si manifestano e fondono in una tensione verso
l’essenzialità e la chiarezza dell’operazione
compositiva, nella quale sono i rapporti tra luce e spazio ad avere
un’importanza fondamentale.
L’inizio
della sua scoperta è tattile: nell’incontro della mano con
il feltro. Perché subito Gironi trova la misura per legarsi a
questo materiale ritagliato in piccoli quadrati: la mano piega il
feltro e trova un ritmo nel gesto del piegare. C’è
un’energia che si conserva nella forma piegata. S’instaura
così subito una complicità tra l’artista e
l’opera nascente, nel metodico e indefinito accumulo di piccoli
gesti
che divengono piccoli corpi. Sarà poi nel ripetersi modulare di
questa piccola forma piegata, corpo-matrice, quasi lasciata accadere
per interna necessità, che le opere verranno componendosi in
vasti territori e contrappunti visivi, come nell’innalzarsi di
una musica bachiana.
L’infinita
modificazione dell’identico è il cardine intorno al quale
si articola la ricerca dell’artista veronese. I colori, poi, sono
le ineffabili gradazioni del bianco solitario, talvolta il nero
d’ombra, e per ora un solo blu, quasi una memoria emersa da un
mare inesistente di Ives Kline e un richiamo nell’aria: il rosso
che viene. Tuttavia quelli di Gironi sono soprattutto candidi corpi,
emersi e immersi in un misterioso moto di luce ondosa. Perché la
ritmica di luce e ombra del feltro è inondata dalla diafana e
immota mobilità della cera. In queste opere la luce ha sempre
due velocità, quella rapida del feltro e quella larga della
cera: i moduli di feltro riflettono e accelerano, la cera assorbe e
rallenta. È proprio in questa doppia velocità che la
tessitura si muove e lo spazio s’incurva. È qui che le
opere divengono corpi di luce, ritmi nello spazio, onde che paiono
propagarsi nell’esperienza del vedere. Anche le ampie tessiture
di gesti e feltro svaniscono nell’incurvarsi luminoso e rendono
le opere impercettibili soglie che travasano reciprocamente il corpo e
lo spirito del tempo.
Gli
stessi principali titoli delle opere, “Emersioni”, alludono
a quei processi di travaso tra ritmica plasticità e
spazializzazione rarefatta, annullando i confini tra il fisico e il
percettivo in un continuo emergere o immergersi della forma, sino a una
completa smaterializzazione luminosa.
Ecco
che l’emozione barocca riaffiora nel realizzarsi di un inedito
corpo spirituale, quasi una mistica epifania della trascendenza
attraverso la ritmica modulare di una minimale carnalità. Ecco
che l’ossimoro tutto contemporaneo di una sorta di estasi laica
si manifesta dentro il nostro sguardo.
- - -
7) "Creative
repetition", by
Marcello Palminteri
The
work of Matteo Gironi (Verona, 1973) is characterized by spatiality
that is tactile even before it is visual, as is fitting for certain
surfaces that are barely wrinkled, ones in which the eye asks the
hand for certainty in order to be able to take possession of the
image. Whether it is developed in a strictly sculptural form, in the
three-dimensionality of full relief, or if it is compressed inside
more modest perimeters, it always tends towards a monochromaticity
that is sometimes oriented towards white, sometimes towards black,
allowing the light to accentuate the potentials of the two
colours/non-colours. White is the colour of luminosity, but without a
tint and, as it contains all the colours, it cancels itself in
achromaticity, while black (perceptively) is actually the absence of
colour: everything and the absence of everything surface in the work
of this young Veronese artist through fragments, through emersions,
through voids that concentrate themselves in reticular or knotty
structures which are apparently minimal or absolutely baroque in
their concealed complexity as they continuously debouch and recompose
themselves, in the overflowing compositional web.
Matteo
Girone himself writes: “I do not know if Baroque for me is a point
of departure or the point of arrival, but the fact is that on
rereading Dino Formaggio’s book, Il Barocco in Italia, published by
Arnoldo Mondadori in 1960, I feel as if I am reading the programmatic
manifesto of my own art, with the exception that the search for a
representation of the infinite coincided for me with the elaboration
of a language based on “need”; need that I found in the
characteristics of the materials I use. But the condition of need
serves only to allow me to express the emotion that is not easy for
me to define but which is very similar to what Baroque expresses. I
would say that Baroque has already defined the meaning of “modern”
life as it still is: man has lost his real centre (if not himself)
and already understands that he is part of a whole that he is unable
to comprehend (i.e. neither to understand not to fully explore). My
art could be defined as a part of an infinity, a fragment in the
flowing (and precipitating) of things. What is important for me is to
evoke this emotion whatever the language used, even if I feel that
the forms that I create must be vibrant, physical and attractive,
perhaps because in this precipice it is only possible to grasp real
and carnal forms; forms are therefore a vehicle, and not just an
end.”
We
are witnessing a process in which the manual datum – while
remaining linked to the inside of the “limits” of a language that
has been amply absorbed by research in modern and contemporary art –
tends to move towards personal places of expression, with the
creation of unexplored spaces as if they were possible perspectives
or interior architectures to be contrasted with a reality in which
the abundance of structures is – often – a synonym of chaos. He
attracts, captures and integrates components that deform space,
revealing it in its own collapse, and thereby highlighting the
triumph of the idea, the power of art over the rationality of the
composition. Matteo Gironi’s objects are decisively beautiful in
the ambiguity of their physical pre-eminence – accentuated by the
monochromatic decisions – and exalt their aesthetic power; power
that is also attractive: it is difficult to resist the temptation to
touch these surfaces, to feel the softness and follow a path made up
of absences and reliefs, fullness and emptiness, of swellings, of
clear spatialist ascendancy, as can be seen from the twinkle in his
eye directed towards Agostino Bonalumi, Turi Simeti and, above all,
Enrico Castellani. Nevertheless, Matteo Gironi proceeds by chromatic
subtleties (also dictated by the materials used such as felt and wax)
that are extraneous to the artists mentioned above, as his work
avoids clear decisions and instead opens out towards numerous emotive
implications, capable of suggesting highly imaginative rainbows while
remaining within the specificity of its characteristic tenuous
chromaticity.
We
can affirm then that the creative process obeys technical humour on
the one hand, and the quality of the sentiment on the other, and the
result – oscillating between intrusion and integration –
generates a space which, beyond the coldness of the planning process,
gives rise to unexpected results which then provide the stylistic
code, the essence and very life of the work.
For
this reason, unlike so much abstract or concrete production, every
new work, every new cycle, constitutes the territory in which the
artist experiments his own technical skill in order to bend the rules
to his own advantage: working with craft and imagination to provoke
new challenges and fresh comparisons, tackling the limit in order to
surpass it ... while rule does not mean imitation but fertile
creative repetition.
- - -
8) "The emerging", by Ilaria Bignotti
The
first impact is visual.
Sinuous
forms that stretch and draw back on the surface of the gaze, the
works of Matteo Gironi welcome the matter of felt, beeswax, pigment
color in a surprising embrace of skins stretched, velvety, malleable,
ready to welcome the ‘unpredictable happen in life that transforms
them, marking them so slight or decided.
Works
such as the daily change metaphors, yet full of a secular knowledge
in their membership decided to contemporary. Precious treasures on
which the artist inscribes the knowledge of the
tradition of innovation. As a long time the tables
of wax welcomed the experience of human life, thus the work of Gironi
has the quiet and unpredictable wisdom of the ancients, though
addressed to us moderns. Or rather, postmodern.
The
nature and history. The problem of the shape and the identity of the
material. The necessity of things. Freedom of thought declared,
always by doing.
These
are the points of departure and eternal return on which there is the
plot of the artistic research of Gironi, whose
training in the field of architecture, which is accompanied by the
ever question the meaning of build and design, engrave with
a certain depth on his artistic investigation.
And
indeed, if we look at them, his works are artworks aware of the
history of architecture, and architectures aware of the history of
art.
There
is an obvious link with the poetics of Spatialism, initiated by the
revolutionary investigating beyond the two-dimensionality of the
canvas by Lucio Fontana, continued by the uneasy heritage of the
Bonalumi, Castellani, Scheggi, including reliefs and introflections
of the painting, to the extensions in the environment.
Less
explicit, protected by the same artist as intimate secret of his
poetry in the changing textures of the works, is the deep thought
that has taken him, over the years, to choose to investigate the
material, to question him in his natural needs, and
then to turn and form it into artworks of high aesthetic workmanship.
In
this proceeding, emerge the architectural models, one of Frank Lloyd
Wright and one of Louis Kahn: the first, in dialogue with the Great
Spirit of Nature, in a careful research for the deep identity in
things; the second, able to interrogate the bricks, and to listen to
their wanting to be arches.
Matteo
Gironi asks the felt, interrogates the wax, and queries the color
pigment. He lets himself to be questioned by these elements. He works
with a manual, female inspiration, rejecting the peremptory,
metaphorically masculine imposition on the matter. Rather, it favors
and stimulates reactions in the materials, interweaving
and overlapping them with the patience of the unknown.
Forms
of extraordinary musicality, his works so welcome the change in the
repetition of a fragment original and originating, obtained with the
peculiar curvature of the felt, material that naturally offers in
this research. From the first artworks, where the modules are larger,
less dense textures, shadows and concavity more pronounced, to the
most recent, where the refinement of the technique results in
surfaces of refined modularity, his artworks are monumental and wide
valleys, where signs in landscape stand or hide, pointing the way to
the eye.
It
is the monumentality of the fragment, from the first stone laid by
man, the menhir as a ordering of space, to interest the artist who
gives this function to the modules of his works, called to measure
the space of the introflections. And the same thing happens in the
Baroque ceilings, where are painted figures are called to measure the
space: so says Gironi, recalling another infinite network of
references changeable as his works, from today until the Baroque,
another important ground of his investigation.
The
Baroque or tension to the space in its distortion, the thrill of the
order broken, life with all its unpredictable rigors and unexpected
sweetness that comes in and determines sinuous forms: thus, the major
modules of the first works of Gironi are placed at the our eyes with
violent physicality, like totem that will bend from the origin to the
end of things; the most recent works, where the module gets smaller
and multiplies, tell us about small events, not inevitable but
possible.
Events
to which the artist does not give name, naming instead works with
terms that refer to the forms assumed by the materials, according to
nature: Emersions, Introflections,
Holes, or even more simply Shapes.
Bodies
that look at us and call us to take a position, not only in front of
them, but to ourselves.
- - -
9) "The infinite modification of the identical", by Leonardo Conti
Matteo
Gironi’s artworks are spiritual bodies. The sense of waiting,
aroused by their rigorously monochromatic nature, marks the time for
our contemplative training.
It
is good to watch them from our semi-darkness. Just like when, step by
step, our eyes climb a large frescoed baroque vault. The white
architecture of columns and pillars unexpectedly combines with the
vertiginous colors and perspectives of painting, revealing grandiose
empyrean skies above our daily transience. In this powerful display
of its potential, the spectacular and visionary design of baroque
architecture and painting can arouse the purest and most abstract
emotion. Any boundaries between reality and illusion, body and soul,
history and revelation vanish. We enter the baroque church to
experience transcendence and eternity.
The
same unexpected and dangerous contradiction of materiality and
spirituality inspires Matteo Gironi’s work. With his eyes and his
mind struck by the baroque figurative wonders, the artist from Verona
has followed the intricate paths of contemporary art up to a silent
minimalism. And the minimalist notion of a primary form has become
for him a new point of view, from which the past turns into the
evolving present. In this perspective, a Greek column is not only a
remainder of something that has been consumed by the passing of time,
but also a unit of measurement, an indicator that makes the landscape
deep, prospective, powerfully human and natural at the same time. The
column has kept enough of its energy to mark the rhythm that defines
a territory.
From
this new point of view, Matteo Gironi has started to experiment with
different materials, in order to find his own rhythm and to define a
territory. The artist who experiments usually remains outside any
religious or academic dogmas: he claims pluralism, promotes unusual
encounters, loves cathedrals and deserts. Many heterogeneous aspects
of Gironi’s art combine: his background in architecture, his
interest in objects, his discretion and minimalism, and most of all
his extremely pure taste for baroque art. All of these features are
visible and blended together to achieve an essential and clear
composition, whose most important component is the light and space
ratio.
His
creations start from a tactile discovery that is the encounter of his
hand and felt. In fact, Gironi has immediately found his own way to
employ this material, cut into small squares: his hand folds the felt
with a certain rhythm, and folded felt keeps part of its energy. In
this way, the artist and the developing artwork become accomplices,
through the methodical and indefinite series of small gestures
turning into small bodies. As the small folded form, made of a body
and a mold, systematically and almost inevitably replicates itself,
the artworks take shape in vast territories and visual counterpoints,
like the increasing intensity of Bach’s music. The infinite
modification of the identical is the cornerstone of the artist’s
search. Colors range from unspeakable shades of lonely white,
sometimes darkness’ black, and as of now only one blue, which is
almost a memory emerged from Ives Kline‘s unreal sea. And a
reference into the air: red is coming. And yet Gironi’s bodies are
mainly pure white, emerged from and immersed into a mysterious wavy
light. This is because the rhythm of light and shadow that defines
the felt is covered by the translucent and motionless flexibility of
wax. In these works, light always has two different speeds: the one
of felt, which is quick, and the one of wax, which is large. Felt
modules reflect and accelerate light, while wax absorbs and slows it
down. This double speed creates movement and bends space, so the
artworks become bodies made of light, rhythms in space, waves that
seem to propagate as we look at them. Even the forms created by
gestures and felt disappear in the bright bends, transforming the
artworks into tiny little thresholds, where the body and soul of time
mutually overflow.
The
artworks themselves are entitled ‘Emersions’, hinting at the
overflow of rhythmic plasticity and rarefied spatiality. The
boundaries between reality and perception are lost, as the form
continuously emerges and immerses until its complete
dematerialization in light.
The
baroque emotion is aroused again by a brandnew spiritual body that
takes shape, almost a mystic epiphany of transcendence through the
modular rhythm of a minimal carnality. So, through our own eyes, we
experience the contemporary contradiction of a sort of secular
ecstasy.
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