Critica

Indice:

1) Comunicato Stampa redatto da Elisabetta Bovo in occasione della mostra "Adoratori di infinito" presso lo        spazio Kn Studio, Verona, 2011
2) Comunicato Stampa redatto da Leonardo Conti in occasione della mostra "L'infinita modificazione dell'identico"    presso la galleria Poliart, Milano, 2011
3) Articolo di Marcello Palminteri presente nella rivista AreAArte nr 12 Inverno / Winter 2012/2013 ,pag.12-15
4) Testo del catalogo della mostra "The Emerging" presso la galleria E3 Artecontemporanea redatto da Ilaria        Bignotti, Brescia, 2014
5) Articolo di Gianpietro Guiotto presente nel quotidiano "Brescia Oggi" in occasione della mostra presso E3        Artecontemporanea, Brescia, 2014
6) Testo del catalogo della mostra "L'infinita modificazione dell'identico II" presso la galleria  Poliart        Contemporary, Milano, 2014, redatto da Leonardo Conti

Index of text in English:

7) "Creative repetition", by Marcello Palminteri
8) "The emerging", by Ilaria Bignotti
9) "The infinite modification of the identical", by Leonardo Conti


1) Comunicato Stampa redatto da Elisabetta Bovo in occasione della mostra presso Kn Studio

"Adoratori di infinito"
Kn STUDIO, Verona

03/12/2010 – 30/01/2011
testo a cura di Elisabetta Bovo

Il sublime è qui.
Traduce nella malleabilità sostenuta del feltro e nell’apparente cedevolezza della cera i suoi sogni sublimi, Matteo Gironi, li articola in ondulazioni e movimenti che rispondono ad un’interiore partitura musicale, li modula morbidamente in curve e pieghe, li drappeggia in introflessioni ed estroflessioni che nulla tolgono allo slancio verticale sempre presente nelle sue opere.
Chimere barocche, segnate da una contraddizione di borrominiana ascendenza, le sue “sculture morbide” eppure ardite, nelle fessure del feltro tagliato ed assemblato ad arte e nella cera candida o imbevuta di nero pigmento che le riveste, possono rivelare la luce o la tenebra, il baluginare del mistero o il suo ritrarsi nell’oscurità impenetrabile.
Tra le pieghe della materia, pervasa dall’inquietudine di un instabile equilibrio, emerge tutta la tensione e l’aspirazione all’infinito che conferisce un’impronta di sacralità a tutte le opere di quest’artista. Se la piega ha da sempre caratterizzato l'arte e una caratteristica del Barocco è replicarla all'infinito, Matteo Gironi, anima d’artista modulata da studi d’architettura, esprime le sue “intenzioni barocche” attraverso la replicazione di moduli che, assemblati, creano una texture atta ad innumerevoli possibilità di torsione, avvolgimento, piegatura, increspamento e sinuosità. Come nel barocco, lo scultore-architetto nelle sue opere curva e ricurva le pieghe nel feltro, le porta all'infinito, piega su piega, piega nella piega, ricoprendole poi con la cera. Così alle sue installazioni, per certi versi assimilabili ad altari barocchi, si può applicare tout-court la lettura deleuziana: “In basso, la materia è ammassata in un primo genere di pieghe, ed è poi organizzata in un secondo genere di pieghe (...). In alto, invece, l'anima canta la gloria di Dio, percorrendo le sue stesse pieghe, senza mai giungere a svilupparle interamente, poiché esse vanno all'infinito”. In esse si rivela heideggerianamente quella lotta originaria in cui viene conquistata quell’Apertura in cui sta dentro ogni cosa e da cui emerge, ritirandovisi, ciò che si manifesta come presenza inafferrabile.
Ogni opera di Matteo Gironi, più che un ergon, è un’energheia: attività, forma in divenire, dinamica, mai statica o cristallizzata. E, paradossalmente la fessura - in queste sculture che nelle lande del postmoderno parlano un linguaggio nuovo e significante – risulta come il vuoto che tiene assieme il tutto, il taglio che lascia emergere la luce, che unisce e nel contempo tiene a distanza, che esprime un “congiungere illuminante”, l’intimità di un convenire tra finito ed infinito, l’incontro tra il limite e l’illimitato. Il sublime è qui.



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2) Comunicato Stampa redatto da Leonardo Conti in occasione della mostra presso Poliart

"L'infinita modificazione dell'identico"
Poliart Contemporary, Milano
22 ottobre / 3 dicembre 2011
a cura di Leonardo Conti
con la musica di Paola Samoggia

Candidi corpi, emersi e immersi in un misterioso moto di luce ondosa: così appaiono le venti opere di Matteo Gironi, in occasione della sua prima personale milanese alla PoliArt Contemporary.
La soffice e muta resistenza del feltro, la diafana e immota mobilità della cera e l’infinita modificazione dell’identico, sono i cardini intorno ai quali si svolge l’alchemica ricerca dell’artista veronese. È nel ripetersi modulare di una piccola forma piegata di feltro, quasi lasciata accadere per interna necessità, che le opere vengono componendosi in contrappunti e fughe visive, come nell’innalzarsi di una musica bachiana.
Gli stessi titoli delle opere, “Emersione”, “Inclusione”, “Introflessione”, alludono a quei processi di plasticità e spazializzazione, che affrancano l’opera dalla bidimensionalità, in un continuo emergere e immergersi della forma sino a una sorta di smaterializzazione emozionata.
Nel suo tentativo di “eliminazione di ogni rapporto con la gestualità, per fare in modo che l’opera sembri esistere per sua necessità” anche l’artista pare entrare nella modularità in trasformazione, in una continuo lavoro del piegare ed assemblare piccoli riquadri di feltro, forse con la stessa devozione che una madre dedica alla sfoglia quotidiana, nella più necessaria e caduca delle arti.
È proprio nel processo del piegare su di sé il feltro (“quasi da sé”) e nel ripiegarlo ancora indefinite volte, sino a una specie di smarrimento e spiritualizzazione del gesto, che è stata invocata, forse giustamente, una dimensione barocca, nella sua aspirazione alla trascendenza nella sovrabbondanza.
Tuttavia, nella ricerca di Matteo Gironi si manifesta una tensione verso l’essenzialità e la chiarezza dell’operazione compositiva, nella quale sono i rapporti con la luce e lo spazio ad acquisire un’importanza fondamentale. Se il trattamento con la cera alimenta e diffonde la plasticità delle opere, nel perenne esterno riverberante che è la luce, sono i rapporti dinamici delle forme di feltro ad innalzare le opere in una dimensione musicale.



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3) Articolo presente nella rivista AreAArte nr 12 Inverno / Winter 2012/2013 ,pag.12-15

"La ripetizione creativa"
di Marcello Palminteri


Una spazialità tattile ancor prima che visiva, come si conviene a certe superfici appena increspate, in cui l’occhio chiede certezze alla mano per appropriarsi dell’immagine, caratterizza il lavoro di Matteo Gironi (Verona, 1973). Sia che si sviluppi in forma più propriamente scultorea, nella tridimensionalità del tuttotondo, sia che si comprima all’interno di più modesti perimetri, volge sempre verso una monocromia orientata ora al bianco, ora al nero, accentuando, attraverso la luce, le potenzialità dei due colori-non colori. Il bianco è il colore della luminosità, ma senza tinta e, contenendo tutti i colori si annulla nell’acromia, il nero è (percettivamente) l’assenza di colore: tutto e assenza di tutto affiorano nell’opera del giovane artista veronese per frammenti, per emersioni, per vuoti, concentrandosi in strutture reticolari o nodose apparentemente minimali eppure assolutamente barocche nella loro nascosta complessità, nel loro continuo sfociare e ricomporsi,
nel dilagante ordito compositivo.
E’ lo stesso Matteo Gironi a scrivere: “non so se il barocco sia per me il punto di partenza o il punto di arrivo, fatto sta che rileggendo il libro Il Barocco in Italia di Dino Formaggio edito da
Arnoldo Mondadori nel 1960, mi sembra di leggere il manifesto programmatico della mia arte, con l’eccezione che la ricerca di una rappresentazione dell’infinito ha per me coinciso con l’elaborazione di un linguaggio basato sulla “necessità”; necessità che ho trovato nelle caratteristiche dei materiali che uso. Ma la condizione di necessità mi serve solo ad esprimere quell’emozione per me non ben definibile ma molto simile a ciò che esprime l’arte barocca. Direi che il barocco ha già definito il significato della vita “moderna” come lo è tuttora: l’uomo ha perso un suo centro reale (se non sé stesso) e già comprende di essere parte di un tutto che non riesce a comprendere (cioè né a capire né ad esplorare fino in fondo). La mia arte potrebbe essere definita come una parte di un infinito, un frammento nello scorrere (o nel precipitare) delle cose. L’importante per me è evocare questa emozione al di là del linguaggio usato, anche se ritengo che
le forme che creo devono essere vibranti, fisiche, attraenti, forse perché proprio in questo precipizio solo alle forme reali e carnali ci si può aggrappare; le forme perciò sono un veicolo, non sono il fine”. Assistiamo ad un processo in cui il dato manuale pur rimanendo legato all’interno dei “limiti” di un linguaggio ampiamente assorbito dalle ricerche dell’arte moderna e contemporanea, tende a spostarsi in luoghi personali di espressione, creando spazi inesplorati come fossero prospettive possibili, architetture interiori da contrapporre ad una realtà in cui l’abbondanza di strutture è - spesso - sinonimo di caos. Egli attira, cattura ed integra componenti che deformando lo spazio lo rivelano nel collasso dello stesso, così evidenziando il trionfo dell’idea, la forza dell’arte sulla razionalità della composizione. Decisamente belli, gli oggetti di Matteo Gironi, nell’ambiguità del loro predominio fisico - accentuata dalle scelte monocromatiche - esaltano la loro potenza estetica; una potenza che è anche attrattiva: è difficile resistere alla tentazione di toccarle queste superfici, per percepirne la morbidezza e seguire un percorso fatto di assenze e rilievi, di pieni e di vuoti, di rigonfiamenti, di chiara ascendenza spazialista, come può dimostrare l’occhio strizzato all’opera di un Agostino Bonalumi, di un Turi Simeti e, soprattutto, di un Enrico Castellani. Tuttavia Matteo Gironi procede per delicatezze cromatiche (dettate anche dai materiali utilizzati come il feltro e la cera) estranee agli artisti citati, in quanto il suo lavoro evita decisioni nette, aprendosi invece alle molteplici implicazioni emotive, capaci di suggerire arcobaleni immaginifici sia pure nella specificità della cromia tenue che lo caratterizza.
Possiamo allora affermare che il processo creativo obbedisce da un lato all’arguzia tecnica, dall’altro alla qualità del sentimento e il risultato, oscillando tra intrusione e integrazione, genera uno spazio che determina, al di là di ogni fredda progettualità, risultati inaspettati che sono poi la cifra stilistica, l’essenza e la vita stessa dell’opera. Per questo, al contrario di tanta produzione astratta o concreta, ogni nuova opera, ogni nuovo ciclo, è il territorio su cui l’artista sperimenta la propria capacità tecnica per volgere le regole a proprio vantaggio: lavorando con abilità e immaginazione per provocare nuove sfide, nuovi confronti, affrontando il limite per superarlo. E regola non significa imitazione ma fertile ripetizione creativa.

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4) Testo del catalogo della mostra "The Emerging" presso la galleria E3 Artecontemporanea redatto da Ilaria Bignotti

"The emerging"
E3 Artecontemporanea, Brescia
4 ottobre / 6 dicembre 2014
a cura di Ilaria Bignotti

Il primo impatto è visivo.
Forme sinuose che si estendono e indietreggiano sulla superficie dello sguardo, le opere di Matteo Gironi accolgono la materia del feltro, della cera d’api, il pigmento di colore in un abbraccio sorprendente di epidermidi tese, vellutate, malleabili, pronte ad accogliere l’imprevedibile accadere della vita che le trasforma, segnandole in modo lieve o deciso.
Opere come metafore del quotidiano mutamento, eppure cariche di un sapere secolare, nella loro decisa appartenenza al contemporaneo: scrigni preziosi sui quali l’artista inscrive la conoscenza della tradizione nell’innovazione. Come un tempo le tavole di cera accoglievano l’esperienza della vita dell’uomo, i lavori di Gironi hanno la quieta e imprevedibile sapienza degli antiqui, pur rivolgendosi a noi moderni. O meglio, postmoderni.
La natura, la storia. Il problema della forma e l’identità del materiale. La necessità delle cose. La libertà di pensiero, dichiarata, sempre, attraverso il fare.
Sono questi i punti di partenza e di eterno ritorno sui quali si svolge la trama della ricerca artistica di Gironi, la cui formazione in ambito architettonico, alla quale si accompagna da sempre l’interrogarsi sul senso del costruire e del progettare, incide con una certa profondità sulla sua indagine artistica.
E in effetti, a ben guardarle, le sue opere sono architetture consapevoli della storia dell’arte, e opere d’arte consapevoli della storia dell’architettura.
Evidente è il legame con le poetiche dello Spazialismo, avviate dal rivoluzionario indagare oltre la bidimensionalità della tela da parte di Lucio Fontana, proseguite dall’inquieta eredità dei Bonalumi, Castellani, Scheggi, tra estroflessioni e introflessioni della materia pittorica, fino alle estensioni nell’ambiente.
Meno esplicito, protetto dallo stesso artista come segreto intimo della sua poetica nelle trame cangianti delle opere, è invece il profondo pensiero che lo ha portato, negli anni, a scegliere di indagare il materiale, di interrogarlo nella sua naturale necessità, per poi traformarlo e formarlo in opere di altissima fattura estetica.
In questo procedere, riecheggiano i modelli architettonici, quello di Frank Lloyd Wright e di Louis Kahn: il primo, in dialogo con il Grande Spirito della Natura, attento a cercare la profonda identità nelle cose; il secondo, capace di interrogare i mattoni, e di ascoltare il loro voler essere archi.
Matteo Gironi interroga il feltro, interroga la cera, interroga il pigmento di colore. Si fa da questi interrogare. Li lavora con una manualità di ispirazione femminile, rifiutando l’imposizione perentoria, metaforicamente maschile, sulla materia. Piuttosto, ne asseconda e ne stimola le reazioni, intrecciandole e sovrapponendole con la pazienza dell’ignoto.
Moduli di straordinaria musicalità, le sue opere accolgono così la variazione nella ripetizione di un frammento originario e originante, ottenuto con la peculiare curvatura del feltro, materiale che naturalmente si offre a questa ricerca. Dalle prime, dove i moduli presentano dimensioni maggiori, trame meno fitte, ombre e concavità più accentuate, alle più recenti, dove l’affinamento della tecnica si traduce in superfici di raffinata modularità, le sue opere sono monumentali e ampie vallate, dove segni nel paesaggio si ergono o nascondono, indicando la strada allo sguardo.
É la monumentalità del frammento, dalla prima pietra posata dall’uomo, il menhir come elemento “ordinatore” dello spazio, ad interessare l’artista che tale funzione consegna ai moduli delle sue opere, chiamati a misurare lo spazio delle introflessioni. E la stessa cosa accade nei soffitti barocchi, in cui sono i personaggi a misurare lo spazio: così afferma Gironi, rievocando un’altra infinita rete di riferimenti che si avviluppano e svolgono, mutevoli come le sue opere, dall’oggi sino al Barocco, un altro terreno importante della sua indagine.
Il Barocco ovvero la tensione allo spazio nella sua distorsione, il brivido dell’ordine franto, la vita con tutte le sue imprevedibili asprezze e inaspettate dolcezze che entra e determina sinuosa le forme: così, i grandi moduli delle prime opere di Gironi si pongono al nostro sguardo con violenta fisicità, totem di un fatto che si piega dall’origine alla fine delle cose; le opere più recenti, dove il modulo si rimpicciolisce e moltiplica, ci raccontano di piccoli eventi, non ineluttabili ma possibili.
Eventi ai quali l’artista non dà nome, titolando invece le opere con termini che rimandano alle forme assunte dai materiali, secondo natura: Emersioni, Introflessioni, Buchi, o ancora più semplicemente Forme.
Corpi che ci guardano e ci chiamano a prendere una posizione: non solo davanti a essi, ma a noi stessi.



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5) Articolo presente nel quotidiano "Brescia Oggi" in occasione della mostra presso E3 Artecontemporanea, 2014


L'intrigante esperienza del vuoto
Giampietro Guiotto

Morbidi feltri, coperti da una coltre monocroma di cera nera o bianca, si muovono nelle pareti, come membrane pulsanti; eppure, nello spazio, essi sono immobili, tesi: catastrofi della vista, predisposte dall'artista Matteo Gironi, il quale realizza strutture plastiche tridimensionali, apparentemente sospese nel vuoto, attraversate da continui cedimenti e scivolature di senso, superfici-testo che, come increspature del nulla, chiedono di essere lette nelle loro emergenze e rientranze di spazio concreto e indefinito, vuoto e pieno, mobile e fisso. Lo sguardo le traduce come tessuti-testo, come scritture criptiche, percorse dalla luce, che sprofonda dolcemente sulla tenue cromia della pallida cera.
Nella loro spazialità tattile e visiva, gli oggetti di Gironi sorgono e si offrono nella loro nudità iconico-simbolica per trascinarci nell'infinito della visione. Un infinito comincia a visualizzarsi fin dai margini del quadro-scultura, per estendersi silenziosamente quando sulla superficie, trasformata in luogo di tensioni e di protuberanze aggettanti e ripetitive, pullulano e vibrano segni che creano l'illusione del movimento e della metamorfosi della forma. Si delineano spazi visivi sezionati attraverso la razionalizzazione degli elementi tridimensionali e strutturali della materia, scomposti e riaggregati attraverso infinite modulazioni luministiche e spaziali, dialoganti con l'ambiente, che si configurano come progetto, nel quale si concretizzano l'esperienza del vuoto e la percezione di infinito, la presa di coscienza della perdita del sé e la sospensione dell'essere nella realtà.


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6) Testo del catalogo della mostra "L'infinita modificazione dell'identico II" presso la galleria  Poliart Contemporary redatto da Leonardo Conti

"L'infinita modificazione dell'identico II"
Poliart Contemporary, Milano
30 ottobre / 13 dicembre 2014
a cura di Leonardo Conti
con la musica di Paola Samoggia

Le opere di Matteo Gironi sono corpi spirituali. Il senso di attesa, che la loro rigorosa monocromaticità suscita, indica il tempo necessario per un nostro apprendistato contemplativo. È bene assestarsi nella propria penombra. Come quando, a poco a poco, scaliamo con lo sguardo l’innalzarsi affrescato di una grande volta barocca. Il bianco ritmo architettonico di colonne e paraste inaspettatamente si fonde alla vertigine cromatica e prospettica della pittura, svelando grandiosi cieli empirei sopra alla nostra quotidiana caducità. Ed è proprio nell’esibizione spesso pletorica dei propri mezzi che gli spettacolari e illusori impianti scenografici dell’architettura e della pittura barocche giungono a cogliere la più pura e astratta emozione. Cade ogni confine, tra realtà e illusione, tra corpo e spirito, tra storia e rivelazione. Si entra nella chiesa barocca per fare esperienza della trascendenza e dell’eternità. Ora, quell’imprevisto e rischioso ossimoro che connette materialità e spiritualità è anche il compito che si propongono le ricerche di Matteo Gironi. Già con gli occhi e la mente folgorati dai miracoli visivi barocchi, l’artista veronese ha percorso l’intricato dipanarsi dell’arte contemporanea fino ai silenzi del minimalismo. Ed è nel concetto minimalista di forma primaria che Gironi identifica il punto di vista da cui ricominciare a vedere.
Con quel nuovo sguardo anche ciò che era del passato torna a essere nel divenire del presente. In quest’ottica anche una colonna greca non è soltanto la parte rimasta di ciò che il tempo ha consunto, ma diviene una misura, un indice, attraverso il quale il paesaggio diviene profondo, prospettico, potentemente umano e naturale insieme. Quel pilastro conserva una quantità sufficiente di energia per segnare il ritmo che disegna un territorio.
È proprio attraverso questo sguardo che Matteo Gironi ha cominciato a sperimentare i materiali più diversi, per trovare un proprio elemento ritmico e costruire un territorio. Si sa, lo sperimentatore è fuori da ogni tempio sia religioso che accademico, reclama pluralismi, promuove strani incontri, ama le cattedrali e i deserti. In Gironi molti aspetti eterogenei funzionano insieme: è un architetto
di formazione, ha propensioni oggettuali, è riservato e minimalista e, soprattutto, è un nuovo purissimo artista barocco. Queste caratteristiche si manifestano e fondono in una tensione verso l’essenzialità e la chiarezza dell’operazione compositiva, nella quale sono i rapporti tra luce e spazio ad avere un’importanza fondamentale.
L’inizio della sua scoperta è tattile: nell’incontro della mano con il feltro. Perché subito Gironi trova la misura per legarsi a questo materiale ritagliato in piccoli quadrati: la mano piega il feltro e trova un ritmo nel gesto del piegare. C’è un’energia che si conserva nella forma piegata. S’instaura così subito una complicità tra l’artista e l’opera nascente, nel metodico e indefinito accumulo di piccoli
gesti che divengono piccoli corpi. Sarà poi nel ripetersi modulare di questa piccola forma piegata, corpo-matrice, quasi lasciata accadere per interna necessità, che le opere verranno componendosi in vasti territori e contrappunti visivi, come nell’innalzarsi di una musica bachiana.
L’infinita modificazione dell’identico è il cardine intorno al quale si articola la ricerca dell’artista veronese. I colori, poi, sono le ineffabili gradazioni del bianco solitario, talvolta il nero d’ombra, e per ora un solo blu, quasi una memoria emersa da un mare inesistente di Ives Kline e un richiamo nell’aria: il rosso che viene. Tuttavia quelli di Gironi sono soprattutto candidi corpi, emersi e immersi in un misterioso moto di luce ondosa. Perché la ritmica di luce e ombra del feltro è inondata dalla diafana e immota mobilità della cera. In queste opere la luce ha sempre due velocità, quella rapida del feltro e quella larga della cera: i moduli di feltro riflettono e accelerano, la cera assorbe e rallenta. È proprio in questa doppia velocità che la tessitura si muove e lo spazio s’incurva. È qui che le opere divengono corpi di luce, ritmi nello spazio, onde che paiono propagarsi nell’esperienza del vedere. Anche le ampie tessiture di gesti e feltro svaniscono nell’incurvarsi luminoso e rendono le opere impercettibili soglie che travasano reciprocamente il corpo e lo spirito del tempo.
Gli stessi principali titoli delle opere, “Emersioni”, alludono a quei processi di travaso tra ritmica plasticità e spazializzazione rarefatta, annullando i confini tra il fisico e il percettivo in un continuo emergere o immergersi della forma, sino a una completa smaterializzazione luminosa.
Ecco che l’emozione barocca riaffiora nel realizzarsi di un inedito corpo spirituale, quasi una mistica epifania della trascendenza attraverso la ritmica modulare di una minimale carnalità. Ecco che l’ossimoro tutto contemporaneo di una sorta di estasi laica si manifesta dentro il nostro sguardo.


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7) "Creative repetition", by Marcello Palminteri

The work of Matteo Gironi (Verona, 1973) is characterized by spatiality that is tactile even before it is visual, as is fitting for certain surfaces that are barely wrinkled, ones in which the eye asks the hand for certainty in order to be able to take possession of the image. Whether it is developed in a strictly sculptural form, in the three-dimensionality of full relief, or if it is compressed inside more modest perimeters, it always tends towards a monochromaticity that is sometimes oriented towards white, sometimes towards black, allowing the light to accentuate the potentials of the two colours/non-colours. White is the colour of luminosity, but without a tint and, as it contains all the colours, it cancels itself in achromaticity, while black (perceptively) is actually the absence of colour: everything and the absence of everything surface in the work of this young Veronese artist through fragments, through emersions, through voids that concentrate themselves in reticular or knotty structures which are apparently minimal or absolutely baroque in their concealed complexity as they continuously debouch and recompose themselves, in the overflowing compositional web.
Matteo Girone himself writes: “I do not know if Baroque for me is a point of departure or the point of arrival, but the fact is that on rereading Dino Formaggio’s book, Il Barocco in Italia, published by Arnoldo Mondadori in 1960, I feel as if I am reading the programmatic manifesto of my own art, with the exception that the search for a representation of the infinite coincided for me with the elaboration of a language based on “need”; need that I found in the characteristics of the materials I use. But the condition of need serves only to allow me to express the emotion that is not easy for me to define but which is very similar to what Baroque expresses. I would say that Baroque has already defined the meaning of “modern” life as it still is: man has lost his real centre (if not himself) and already understands that he is part of a whole that he is unable to comprehend (i.e. neither to understand not to fully explore). My art could be defined as a part of an infinity, a fragment in the flowing (and precipitating) of things. What is important for me is to evoke this emotion whatever the language used, even if I feel that the forms that I create must be vibrant, physical and attractive, perhaps because in this precipice it is only possible to grasp real and carnal forms; forms are therefore a vehicle, and not just an end.”
We are witnessing a process in which the manual datum – while remaining linked to the inside of the “limits” of a language that has been amply absorbed by research in modern and contemporary art – tends to move towards personal places of expression, with the creation of unexplored spaces as if they were possible perspectives or interior architectures to be contrasted with a reality in which the abundance of structures is – often – a synonym of chaos. He attracts, captures and integrates components that deform space, revealing it in its own collapse, and thereby highlighting the triumph of the idea, the power of art over the rationality of the composition. Matteo Gironi’s objects are decisively beautiful in the ambiguity of their physical pre-eminence – accentuated by the monochromatic decisions – and exalt their aesthetic power; power that is also attractive: it is difficult to resist the temptation to touch these surfaces, to feel the softness and follow a path made up of absences and reliefs, fullness and emptiness, of swellings, of clear spatialist ascendancy, as can be seen from the twinkle in his eye directed towards Agostino Bonalumi, Turi Simeti and, above all, Enrico Castellani. Nevertheless, Matteo Gironi proceeds by chromatic subtleties (also dictated by the materials used such as felt and wax) that are extraneous to the artists mentioned above, as his work avoids clear decisions and instead opens out towards numerous emotive implications, capable of suggesting highly imaginative rainbows while remaining within the specificity of its characteristic tenuous chromaticity.
We can affirm then that the creative process obeys technical humour on the one hand, and the quality of the sentiment on the other, and the result – oscillating between intrusion and integration – generates a space which, beyond the coldness of the planning process, gives rise to unexpected results which then provide the stylistic code, the essence and very life of the work.
For this reason, unlike so much abstract or concrete production, every new work, every new cycle, constitutes the territory in which the artist experiments his own technical skill in order to bend the rules to his own advantage: working with craft and imagination to provoke new challenges and fresh comparisons, tackling the limit in order to surpass it ... while rule does not mean imitation but fertile creative repetition.



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8) "The emerging", by Ilaria Bignotti

The first impact is visual.
Sinuous forms that stretch and draw back on the surface of the gaze, the works of Matteo Gironi welcome the matter of felt, beeswax, pigment color in a surprising embrace of skins stretched, velvety, malleable, ready to welcome the ‘unpredictable happen in life that transforms them, marking them so slight or decided.
Works such as the daily change metaphors, yet full of a secular knowledge in their membership decided to contemporary. Precious treasures on which the
artist inscribes the knowledge of the tradition of innovation. As a long time the tables of wax welcomed the experience of human life, thus the work of Gironi has the quiet and unpredictable wisdom of the ancients, though addressed to us moderns. Or rather, postmodern.
The nature and history. The problem of the shape and the identity of the material. The necessity of things. Freedom of thought declared, always by doing.
These are the points of departure and eternal return on which there is the plot
of the artistic research of Gironi, whose training in the field of architecture, which is accompanied by the ever question the meaning of build and design, engrave with a certain depth on his artistic investigation.
And indeed, if we look at them, his works are artworks aware of the history of architecture, and architectures aware of the history of art.
There is an obvious link with the poetics of Spatialism, initiated by the revolutionary investigating beyond the two-dimensionality of the canvas by Lucio Fontana, continued by the uneasy heritage of the Bonalumi, Castellani, Scheggi, including reliefs and introflections of the painting, to the extensions in the environment.
Less explicit, protected by the same artist as intimate secret of his poetry in the changing textures of the works, is the deep thought that has taken him, over the years, to choose to investigate the material, to question him in his natural needs,
and then to turn and form it into artworks of high aesthetic workmanship.
In this proceeding, emerge the architectural models, one of Frank Lloyd Wright and one of Louis Kahn: the first, in dialogue with the Great Spirit of Nature, in a careful research for the deep identity in things; the second, able to interrogate the bricks, and to listen to their wanting to be arches.
Matteo Gironi asks the felt, interrogates the wax, and queries the color pigment. He lets himself to be questioned by these elements. He works with a manual, female inspiration, rejecting the peremptory, metaphorically masculine imposition on the matter. Rather, it favors and stimulates reactions in the materials,
interweaving and overlapping them with the patience of the unknown.
Forms of extraordinary musicality, his works so welcome the change in the repetition of a fragment original and originating, obtained with the peculiar curvature of the felt, material that naturally offers in this research. From the first artworks, where the modules are larger, less dense textures, shadows and concavity more pronounced, to the most recent, where the refinement of the technique results in surfaces of refined modularity, his artworks are monumental and wide valleys, where signs in landscape stand or hide, pointing the way to the eye.
It is the monumentality of the fragment, from the first stone laid by man, the menhir as a ordering of space, to interest the artist who gives this function to the modules of his works, called to measure the space of the introflections. And the same thing happens in the Baroque ceilings, where are painted figures are called to measure the space: so says Gironi, recalling another infinite network of references changeable as his works, from today until the Baroque, another
important ground of his investigation.
The Baroque or tension to the space in its distortion, the thrill of the order broken, life with all its unpredictable rigors and unexpected sweetness that comes in and determines sinuous forms: thus, the major modules of the first works of Gironi are placed at the our eyes with violent physicality, like totem that will bend from the origin to the end of things; the most recent works, where the module gets smaller and multiplies, tell us about small events, not inevitable but possible.
Events to which the artist does not give name, naming instead works with terms that refer to the forms assumed by the materials, according to nature:
Emersions, Introflections, Holes, or even more simply Shapes.
Bodies that look at us and call us to take a position, not only in front of them, but
to ourselves.



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9) "The infinite modification of the identical", by Leonardo Conti

Matteo Gironi’s artworks are spiritual bodies. The sense of waiting, aroused by their rigorously monochromatic nature, marks the time for our contemplative training.
It is good to watch them from our semi-darkness. Just like when, step by step, our eyes climb a large frescoed baroque vault. The white architecture of columns and pillars unexpectedly combines with the vertiginous colors and perspectives of painting, revealing grandiose empyrean skies above our daily transience. In this powerful display of its potential, the spectacular and visionary design of baroque architecture and painting can arouse the purest and most abstract emotion. Any boundaries between reality and illusion, body and soul, history and revelation vanish. We enter the baroque church to experience transcendence and eternity.
The same unexpected and dangerous contradiction of materiality and spirituality inspires Matteo Gironi’s work. With his eyes and his mind struck by the baroque figurative wonders, the artist from Verona has followed the intricate paths of contemporary art up to a silent minimalism. And the minimalist notion of a primary form has become for him a new point of view, from which the past turns into the evolving present. In this perspective, a Greek column is not only a remainder of something that has been consumed by the passing of time, but also a unit of measurement, an indicator that makes the landscape deep, prospective, powerfully human and natural at the same time. The column has kept enough of its energy to mark the rhythm that defines a territory.
From this new point of view, Matteo Gironi has started to experiment with different materials, in order to find his own rhythm and to define a territory. The artist who experiments usually remains outside any religious or academic dogmas: he claims pluralism, promotes unusual encounters, loves cathedrals and deserts. Many heterogeneous aspects of Gironi’s art combine: his background in architecture, his interest in objects, his discretion and minimalism, and most of all his extremely pure taste for baroque art. All of these features are visible and blended together to achieve an essential and clear composition, whose most important component is the light and space ratio.
His creations start from a tactile discovery that is the encounter of his hand and felt. In fact, Gironi has immediately found his own way to employ this material, cut into small squares: his hand folds the felt with a certain rhythm, and folded felt keeps part of its energy. In this way, the artist and the developing artwork become accomplices, through the methodical and indefinite series of small gestures turning into small bodies. As the small folded form, made of a body and a mold, systematically and almost inevitably replicates itself, the artworks take shape in vast territories and visual counterpoints, like the increasing intensity of Bach’s music. The infinite modification of the identical is the cornerstone of the artist’s search. Colors range from unspeakable shades of lonely white, sometimes darkness’ black, and as of now only one blue, which is almost a memory emerged from Ives Kline‘s unreal sea. And a reference into the air: red is coming. And yet Gironi’s bodies are mainly pure white, emerged from and immersed into a mysterious wavy light. This is because the rhythm of light and shadow that defines the felt is covered by the translucent and motionless flexibility of wax. In these works, light always has two different speeds: the one of felt, which is quick, and the one of wax, which is large. Felt modules reflect and accelerate light, while wax absorbs and slows it down. This double speed creates movement and bends space, so the artworks become bodies made of light, rhythms in space, waves that seem to propagate as we look at them. Even the forms created by gestures and felt disappear in the bright bends, transforming the artworks into tiny little thresholds, where the body and soul of time mutually overflow.
The artworks themselves are entitled ‘Emersions’, hinting at the overflow of rhythmic plasticity and rarefied spatiality. The boundaries between reality and perception are lost, as the form continuously emerges and immerses until its complete dematerialization in light.
The baroque emotion is aroused again by a brandnew spiritual body that takes shape, almost a mystic epiphany of transcendence through the modular rhythm of a minimal carnality. So, through our own eyes, we experience the contemporary contradiction of a sort of secular ecstasy.