Appendice


Citazioni tratte dal libro “Il Barocco in Italia” di Dino Formaggio, edito da Arnoldo Mondadori Editore nel 1960 (edizione fuori commercio)





“Barocco” rimane ancor oggi (...) un termine sfuggente, un termine da gran disputa.

Se è possibile supporre che ogni parola, specialmente se di vasto significato culturale, trascina con sé un proprio oggettivo destino, certo la parola barocco diventa una dimostrazione evidente di questo fatto. Essa porta con sé il destino e il segno della contraddizione, proprio perché non ha mai cessato di indicare, nel trionfo di tutto ciò che è vita e movimento, il trionfo stesso inarrestabile e spietato, ricco di crudeltà e di intelligenza, dell'immane forza della contraddizione e della negazione.

E che l'essenza del grande Barocco dovesse consistere nell'esibizione di un moto in sé contraddittorio oltre che in un certo magniloquente e ribelle gusto per la negazione all'infinito – negazione dell'essere come immobilità e come limite, quindi negazione del bello ideale come unità organica e come misura, per una ricerca dinamica e positiva dell'infinito – tutto questo, si badi, veniva parimenti intravisto dai più disparati punti di vista emersi dalla polemica sul Barocco.

Quando il Milizia (...) per primo apre la via alla critica negativa dell'architettura, oltre che della scultura, barocca, scocca la sua condanna (...) Di fronte al cui tribunale appare menzognera e mostruosa tutta l'architettura dell'età barocca, proprio per la sua palese dimostrazione di un rovesciamento e di una decisa negazione dell'ordine e dei moduli della funzionalità architettonica classica; esso giunge, infatti, fino all'esibizione dell'irrazionale e dell'inutile: un esibizione polemicamente raggiunta attraverso uno sperpero acrobatico e non mai visto di sapienze tecniche (...) (Milizia:) “se qui siamo di fronte a tanti “inarchitettonici mostri”, ciò non è per qualche incapacità o mancanza, ma “per eccesso”; e quel che più importa, sottolinea che non si tratta di mancanza di significato, di insignificanza, ma di controsignificanza, di voluta ed esibita negazione di un certo schema e di un certo significato, cioè di consapevole e dichiarata contraddizione.

Tutto questo è già il brutto. Il brutto come non-arte o, meglio, come “forma di brutto estetico”, di cui parla Benedetto Croce a proposito del Barocco.

Sia nel caso del Milizia che nel caso del Croce (...) si tratta di un atto fondamentale di rifiuto che proviene da una “certa ragione”, vale a dire da una certa concezione della ragione come ordine ideale ed ideale proporzione ed equilibrio di parti distinte; in definitiva, è il rifiuto che l'intellettualismo illuminista oppone alla anarchica contraddittorietà e paradossalità del vivente. (...) Si tratta, soprattutto, di salvare il bello ideale e di riaffermarlo contro tutti i tentativi che la vita, la società, la verità storica possono sempre fare per impossessarsi della potenza espressiva dell'arte come tale, per liberare l'arte come tale dal suo giogo estetistico, per sottrarla all'assolutezza mortificante dell'ideale di bellezza.

Ciò detto, rimane pur sempre vero che il Barocco si è generato proprio dall'interno della crisi del Classicismo e soprattutto del Manierismo, come si può dimostrare; ma neppure si deve ignorare che la direzione fondamentale del Barocco, una volta uscita dal travaglio della crisi del Classicismo, ha posto la propria forza di novità e di superamento dei quadri della cultura precedente proprio in questo nuovissimo ed imponente tentativo di emancipare, dallo stesso ormai antico ideale di bellezza, un'artisticità spregiudicatamente libera e proprio per questo, in quanto artisticità come tale, potentemente strumentale, funzionale in senso ampio, capace di sperimentare fino all'ebbrezza ed alla paradossalità la riprova della propria conquistata libertà formale, e di celebrare, fino al limite estremo della propria pure riconquistata funzionalità espressiva dei significati del mondo, il trionfo di questa sua universale potenza significativa, sia nell'esaltazione della nuda e tragica realtà del particolare sia nella esasperazione delle proprie funzioni decorativistiche ed ornamentali.
Si sprigiona allora una festa di apparenze, dove la prospettiva perde quella funzione ordinativa e delimitante che l'aveva caratterizzata al suo sorgere, come modello cubico e lineare, dall'Alberti a Piero della Francesca, per significare, all'opposto, proprio la infinita rottura del limite. La prospettiva barocca, infatti, non fa che sovrammoltiplicare se stessa, in una successione di limiti superati proprio per rompere la struttura dei punti fermi e delle forme chiuse, quasi ad indicare un'ansia di intellegibilità dell'infinito o addirittura, qualche volta, il desiderio di dissolversi in un'orgia sensibile di infinito.
L'infinito. (...) per il Wolfflin l'infinito (...) fa parte, insieme alla composizione di massa e alla dissoluzione della regolarità, della tipica ricerca barocca del movimento; anche se, come giustamente dovrà osservare il Wolfflin, “il concetto del movimento non basta per caratterizzare il Barocco”. In questo senso l'infinito è anzitutto l'inafferrabile, l'illimitato. L'individuo si moltiplica, va oltre ogni numero, dà luogo ai movimenti di massa; il limite si spezza, va oltre ogni limite, corre all'infinito; tutto ciò che è proporzione, misura, regolarità, definizione formale, viene sconvolto, disancorato, si agita nell'inesauribile: e proprio “questa inesaurubilità dei motivi, che non dà pace alla fantasia, è l'illimitato, l'infinito”. È questo travolgente correre da un punto all'altro senza sosta e senza centri di riferimento fissi, che inquieta la fantasia e lancia in un moto senza fine la visione – per cui scompaion le linee di definizione, gli spigoli degli edifici, e tutto gira in tondo, - proprio quello che origina il primo vago senso di infinito del Barocco.
Più avanti il Wolfflin, spingendo oltre all'analisi di un senso del grandioso e dell'infinito presente nel Barocco, rileva che tutto questo a meno a che fare con la bellezza che con il sublime, meno con l'osservazione che con il sentimento, e che questo sentimento si muove in stretta connessione con una certa mistica religiosa che, se per un verso si può riconoscere nello slancio verso l'infinito spalancarsi dei cieli e degli innumerabili cori dei Santi e delle gerarchie celesti (...) per una altro verso non può non richiamare gli “eroici furori” di un Giordano Bruno, del quale il Wolfflin ricorda la frase: “Amate una donna se volete, ma non dimenticate di essere adoratori dell'infinito”.

La luce. (...) L'infinità diventa viva; mescola il suo vortice di positivo e di negativo col turbine delle esistenze. La luce è il segno di questa vivente infinità, la sua presenza spaziale e artistica. Dell'infinito essa possiede la tragica imparzialità: investe ed anima ugualmente il bello come il brutto, il ben formato come il deforme o addirittura l'informe; con uno scatto, sommerge negli abissi dell'ombra un volto e rivela nella luce la rotondità di una spalla, travolge nel buio masse d'umanità e, accanto, illumina un albero o un cane. Questa luce non è fisica, tuttavia. La sua imparzialità non è l'indifferenza della natura al di sopra del gioco della vita e della morte, poiché è essa vita e morte insieme, bello e brutto, vero e falso, giusto e ingiusto, positivo e negativo.

(...) da questo trionfo della “meravigliosa sublimità”, alla perturbazione “all'eccesso” che come un'onda di ritorno, ripiomba, dai segni e dalle figure proiettate fuori, sull'animo stesso dei loro creatori, aumentandone insieme la commozione e la sublimità della meraviglia; fino a quella “poesia grande” che va in cerca di “favole sublimi confacenti all'intendimento popolaresco”, e cioè si pone come la voce e la guida dell'anima dei popoli, la rivelazione potente dei loro bisogni e dei loro significati e, ad un tempo, come l'impeto di commozione che, con popolare violenza, travolge ed esalta, insegna le vie di dannazione e di redenzione che portano l'uomo a prender coscienza di sé e della propria vita e quindi ad “operare virtuosamente”.
Tale è ed ha voluto essere, nel suo più alto ideale, il Barocco.